Se un infarto non lo avesse bruscamente portato via a soli 42 anni il 16 agosto 1977, l’8 gennaio Elvis Presley avrebbe compiuto 90 anni e chissà che celebrazioni sarebbero state organizzate, visto che il suo mito resiste intatto persino mezzo secolo dopo la sua morte. La sua residenza a Graceland, dichiarata monumento nazionale, è il secondo luogo più visitato degli Stati Uniti, per non parlare dei milioni di fan club sparsi praticamente in tutto il mondo. Addirittura, per alcuni di essi, Elvis non è mai morto. Quella del 16 agosto 1977 era in realtà tutta una messinscena, un modo per permettere una via di fuga definitiva al Re del rock, ormai stanco di una vita che gli provocava più problemi che altro, o addirittura – dicono – per scappare dalle grinfie della mafia.
Al di là delle leggende metropolitane, Elvis è stato ed è tuttora una leggenda. E sì che la sua vita era cominciata in maniera più che “normale”. Elvis Aaron Presley nasce, infatti, l’8 gennaio 1935 in una modesta casa di Tupelo, nel Mississippi. Il primo contatto con la musica avviene nella chiesa evangelica che frequenta la domenica con i genitori; poi, quando ha 11 anni, la madre gli regala la prima chitarra. Nel 1948 la famiglia Presley si trasferisce a Memphis, nel Tennessee: qui Elvis studia ma lavora anche come operaio per aiutare i genitori. Grazie alle prime esibizioni viene notato dal manager Sam Phillips, che gli chiede di formare una band con altri due musicisti locali. In breve tempo Presley diventa talmente popolare da conquistare il primo contratto con la RCA. Ha solo 20 anni. Nel 1956 il disco che contiene “Heartbreak Hotel” e “I Was the One” sfonda il tetto del milione di copie. Lo stesso destino spetta all’album che dà il via a una sorta di “Elvis mania”. I ragazzi hanno trovato finalmente qualcuno che canta per loro, una musica nella quale identificarsi e grazie alla quale possono infrangere le regole dettate dal costume e dalla morale dell’epoca.
“Before Elvis, there was nothing”, disse John Lennon.
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