U scrusciu
Ntoni tese bene le orecchie, per un breve istante il battito del suo cuore era l’unica voce nella notte, poi un colpo forte, come uno sparo, e capì che era stata chiusa per la notte la casa del nespolo. Chiusa…le lacrime salate e amare gli bagnarono il viso scarno, entrarono fin dentro la gola e, come un siero magico, riportarono alla memoria scene lontane della vita passata: la voce della madre, che lo chiama… poi lei, come in sogno, gli appare seduta a lavorare davanti la porta di casa ad armeggiare con le olive e i datteri: “figghiu, a vita è duluri, ma si tu tinni vai, u duluri sali finu u cielu, e io nun puozzo m’addummisciri …” Ntoni non capì, quelle parole gli trafiggevano l’anima, per un attimo credette di avere perso il respiro. Amava teneramente la madre e l’odore di lei, un misto di rosmarino e salvia e sudore e salsedine di mare gli tornò alla memoria, e come aria pura dentro le narici, ritornò a respirare. Sentì una mano sulla sua spalla, si voltò di scatto, questa volta era il nonno davanti a lui, silenzioso, lo scrutava con curiosità: “ti fascisti granni, sapevo che saresti tornato e u sacciu qual è a verità, io sugnu mortu e i morti sannu tutti cosi. Ti perdono Ntoni, u facciu picchì accussì tu perdoni a tia. Io cumannai a me casa coi valori che reputavu giusti, ma uora viru cà a cosa chiù importanti è l’amuri e chistu vinni a diriti, figghiu miu, nun lassari cà u duluri acchiani fino o cielu, dacci paci, a mia, a to matri, a to patri!”. ”Nonno! nonno, nonno, perdono! Perdono! ho disobbedito a te, alla tua parola e a quella di mio padre, sono un buono a nulla, ho distrutto la mia casa, l’ho disonorata! Ma il nonno era scomparso, forse mai apparso. Ntoni cominciò a pensare che l’aria del paese gli faceva male, forse era il mare.
È ancora notte, Aci Trezza dorme, silenzio e quiete tutt’intorno, solo Ntoni cammina per il viottolo, con la sacca sulle spalle leggera e il cuore pesante come un macigno. Poi u scrusciu, u scrusciu del mare. Si presenta davanti a lui il mare, maestoso, vivo, immenso, sembra nervoso, si agita, gorgheggia parole incomprensibili all’inizio, poi sempre più chiare: “E così te ne vai? e dove vai? forse c’è un posto nel mondo lontano dove il rimorso e il rimpianto non ti aspettano? Chi sei tu? Ti credi nessuno, perché hai sbagliato, perché hai creduto che il cambiamento era l’unica strada per te: cambiare, migliorare una condizione di vita dignitosa che non fosse mera sopravvivenza. Beh, io sono vecchio, conosco il mondo e l’uomo che a volte è talmente poco umano da divenire bestia. E le bestie non ragionano col cuore, neppure con la mente. Ho visto uomini alla ricerca di nuove scoperte e nuove terre e poi, dopo averle trovate, le hanno oltraggiate, consumate, distrutte. Ho visto uomini combattere contro altri uomini, prima coi pugni, poi con le spade, i cannoni, le bombe. Ho visto e respirato le ceneri della distruzione e della morte, anche oggi sopra barconi improvvisati che mi attraversano, sapessi cosa succede…l’uomo contro l’uomo, è il passato, è il presente. Fui creato per la vita, non per la morte. E ora tu sei qui, davanti a me, e io non ti lascerò andare via, troppo sono rimasto in silenzio, ora ho deciso di parlare e con te voglio iniziare. Tu rimarrai, perché chista è a to terra, cà ci sunnu i to radici e cà tu porterai i cambiamenti, chiddi chi sognasti per una vita migliore”. Un’onda altissima si levò dall’oscurità e lo colpì violentemente, buttandolo a terra. Ntoni in ginocchio sulla nuda terra si sentì come rianimato, un’energia magnifica lo aveva invaso, fin dentro le vene: “ti fazzu donu di coraggiu, figghiu mio, disse il mare, picchì ti servirà, quannu u suli da Sicilia è troppo intenso e a siti un ti fa capiri chiù nienti. E cu u curaggiu tu trasformerai u duluri in vita e accussì i to morti troveranno pace in cielu”.
Albeggiava ormai, due figure lontane, familiari si avvicinavano, erano Mena e Alessi, camminavano a braccetto, cercavano il fratello. Lo trovarono, in ginocchio, vicino al mare, confuso, stracangiato: “Ti purtamo a casa! a to casa, nu to letto, cu nuatri, pi sempri!”
Ecco come avrei voluto il finale del meraviglioso romanzo, I Malavoglia, di Giovanni Verga. Non me ne voglia il maestro Verga, ovunque sia, spero che comprenda. Ma nella vita, così complessa, complicata e a volte difficile, bisogna sempre ricercare il lieto fine, credere che il bicchiere sia sempre mezzo pieno. Auguro a tutti cari lettori, di vivere un’alba come quella descritta, che possa ognuno di voi, ascoltare u scrusciu du mari che ti fa coraggio, dicendoti “andrà bene”.
Gregorio Davì