Terremoto del ‘68
Il terremoto del ‘68 viene ricordato come il Terremoto del Belice, il violento evento sismico di magnitudo 6, che nella notte tra il 14 e il 15 gennaio del 1968 colpì una vasta area della Sicilia occidentale compresa tra la Provincia di Agrigento, Trapani e Palermo.
Il 15 gennaio non si ebbe l’immediata sensazione della gravità del fatto, dato che a quel tempo la zona interessata non era considerata critica dal punto di vista sismico. Il terremoto venne sottovalutato nella sua entità al punto che molti quotidiani riportarono la notizia di pochi feriti e qualche casa lesionata. La realtà si manifestò in tutta la sua terribile evidenza solo quando giunsero i primi soccorsi in prossimità dell’epicentro, approssimativamente posto tra Gibellina, Salaparuta e Poggioreale.
Tra i 14 centri colpiti dal sisma vi furono paesi che rimasero completamente distrutti: Gibellina, Poggioreale, Salaparuta, Montevago. Le vittime furono 370, un migliaio i feriti e circa 70.000 i senzatetto. Altri paesi colpiti furono: Menfi, Partanna, Camporeale, Chiusa Sclafani, Contessa Entellina, Sambuca di Sicilia, Sciacca, Santa Ninfa, Salemi, Vita, Calatafimi e Santa Margherita di Belice.
Il terremoto del 1968 mise in evidenza lo stato di arretratezza in cui si viveva in quelle zone della Sicilia occidentale, in primo luogo come venivano costruite le abitazioni in tufo, crollate senza salvezza sotto i colpi del sisma. Le popolazioni di quei paesi erano composte in gran parte da anziani, donne e bambini, visto che i giovani e gli uomini erano già da tempo emigrati in cerca di lavoro.
Fu un periodo triste che sconvolse la vita di molte persone che avevano subito gli effetti della devastazione.
Una testimonianza personale che ho raccolto riguarda un familiare a me vicino, mio nonno. Il suo racconto mi ha molto colpita soprattutto per le condizioni precarie di vita vissute dopo questo terribile evento. Egli ha ancora vivi questi ricordi come se fosse accaduto pochi anni fa. Non dimenticherà mai le prime scosse della domenica del 14 gennaio del 1968 e, in particolare, quella che devastò il territorio della Valle del Belice. In seguito alla prima scossa si creò panico e smarrimento tra la popolazione. Tutti cercavano di allontanarsi dai centri abitati lasciando tutti gli effetti personali nelle case e rifugiandosi nelle auto. Mio nonno, ad esempio, si rifugiò in campagna e vide passare molta gente, tra cui soccorsi e soccorritori che portavano le provviste nei paesi limitrofi, in cui ci furono molte più vittime del paese in cui abitava. Ci fu molta solidarietà anche da parte del resto d’Italia. Le scosse però non cessarono la notte del 15 ma continuarono per un lungo periodo, ciò provocò molta ansia tra la popolazione.
Oltre al terremoto vennero riscontrati altri problemi sanitari dovuti alla mancanza d’igiene per cui vennero creati vari centri mobili di vaccinazione e soccorso. Dopo un breve periodo di assestamento mio nonno tornò a Menfi, dove costruì insieme alla sua famiglia tante baracche fittizie vicino al centro abitato, anche se la sua abitazione non aveva subito grossi danni. Il ricordo di mio nonno è traumatico ma allo stesso tempo fu un momento di riavvicinamento tra i parenti. In seguito al terremoto ci furono degli aiuti provenienti dallo Stato per sostenere le famiglie, contribuendo alla costruzione di baraccopoli, in attesa di altre soluzioni più agevoli anche se costruite con eternit che, soltanto da qualche anno, si identificò come materiale cancerogeno.
Nella zona del terremoto l’economia per qualche mese si bloccò, ma trattandosi di paesi prevalentemente agricoli si continuò a commerciare.
Dopo un lungo periodo di disagio, dovuto alla situazione precaria venutasi a creare dal dover alloggiare nelle baracche, lo Stato ha aiutato la popolazione a ricostruire le case che erano state colpite dal terremoto.
Ancora oggi la ricostruzione dovrebbe continuare ma la cattiva gestione dei fondi pubblici il problema della ricostruzione non è stato risolto del tutto.
Negli anni ’80 per frenare questa lenta decadenza dei territori il sindaco di Gibellina, Ludovico Corrao, ha chiamato artisti come Pietro Consagra, Alberto Burri, Ludovico Quaroni e molti altri per abbellire la nuova Gibellina di opere di arte contemporanea e richiamare l’attenzione nazionale sui territori della Valle del Belice.
II Belice, dopo più di 50 anni, grazie al turismo e alla crescita delle aziende eno-gastronomiche sta provando a recuperare il “tempo perso” ma quei territori ancora conservano le ferite del terremoto.
di Raffaella Salerno