foto

Rosa Balistreri, un’artista simbolo della forza e della cultura siciliana

CULTURA-MUSICA-SPETTACOLO, PERSONE E PERSONAGGI

Chista é la vuci mia.

Una donna siciliana la riconosci subito:occhi fieri e orgogliosi, testa alta e impavida, sguardo limpido, voce profonda. Non me ne vogliano le altre donne italiane e del mondo, ma la donna siciliana è speciale proprio perché unica. La terra della Sicilia le fa dono sin dalla nascita di questa unicità, che le apparterrà per sempre. E’ un dono sacro e antico, un sigillo divino. Davanti a una donna della Sicilia non puoi fare altro che emozionarti profondamente, per i suoi gesti, per le sue parole, per il suo sguardo. Ecco come voglio presentarvi Rosa Balistreri, definita dalla critica musicale “la voce della Sicilia”. Rosa è una donna siciliana, la donna siciliana. Rosa vive un’infanzia di fame e povertà, nella campagna di Licata, dove è nata nel primo ventennio del secolo scorso. “Quann’era picciridda cu me patri mi ni jva a fari spichi…”cantava nella canzone autobiografica  “A me vita”. Tutto il repertorio musicale di Rosa è autobiografico e, in verità, appartiene a ciascun siciliano. Perché quando sei nato in Sicilia, sei coinvolto, aggrovigliato  anima e corpo alla tua terra, da un invisibile cordone ombelicale che, nemmeno se ti allontani oltre lo stretto e arrivi anche sulla luna, si spezzerá. Così, ascoltando le canzoni di Rosa, cominci a riflettere sulle parole, a trovarle così vere e reali. E quella canzone diventa una storia che lei ti racconta: magari è la storia di tuo nonno, di un cugino,  del vicino di casa o forse è proprio una tua personalissima vicenda. Rosa  è sopravvissuta a un matrimonio sfortunato e infelice, ma non si è mai arresa. Riesce a trasferirsi col fratello e le sorelle a Firenze ed entra in contatto con l’ambiente culturale di Ignazio Buttitta e Dario Fo, partecipando alle prime due edizioni dello spettacolo “Ci ragiono e canto”di Dario Fo. Tornata a Palermo, recitò nel teatro stabile di Catania e cominció a incidere dischi. Lo stesso Buttitta scrisse per lei numerose liriche. Il repertorio di Rosa è attualissimo: canta la vita del popolo siciliano, mostrandolo senza filtri, falso moralismo o finzione.Una vita difficile, quasi al limite della sopravvivenza stessa, tra fame, povertà, mafia, sopraffazione e violenza. Ma questo popolo, descritto da Rosa, è un popolo che sopporta; anzi il dolore lo rende ancora più fiero, onesto, coraggioso. Non si arrende il popolo siciliano, così canta Rosa in Terra ca’nun sentì: “terra ca’ nun teni cu voli partiri e nenti cci duni pi falli turnari…”

Ragiona, riflette il popolo siciliano sulla propria condizione. E il rimprovero, per questa sofferenza, è rivolto alla politica indifferente alla realtà della Sicilia, terra piena di bellezza, di risorse culturali non sfruttate.

Attualissima la canzone”Li pirati a Palermu”, poesia del Buttitta:”tuttu l’oru all’aranci li pirati arrubbaru, li campagni spugghiati cu la negghia lassaru. N’arrubbaru lu suli, aristammu allu scuru, chi scuru. Sicilia chianci..”.In questa canzone Rosa racconta le invasioni turche del passato, ma se ci riflettiamo un po’ meglio sti “pirati”potrebbero essere i mafiosi che spogliano la Sicilia delle sue ricchezze.

É soprattutto nella canzone “A stragi di purtedda”che viene chiarito questo concetto: “la mafia e la Sicilia su du cosi, lu stessu comu diri spini e rosi; du cosi differenti pi natura,la mafia puzza e la Sicilia odura!”

Indimenticabile di Rosa è la voce: graffiante, carnale, profonda, “na vuciazza” che fa tremare i vetri, che ti chiama per essere ascoltata e sentita. Rosa, molte volte, si commuoveva  mentre cantava, perché era innanzitutto la cantastorie di se stessa e del Popolo.

Devo ammettere che anch’io mi sono commosso nell’ascoltare le sue interpretazioni;  soprattutto nell’ascoltare”Lu venniri matino”, cioè”il venerdì mattina. Questa canzone è molto conosciuta in Sicilia e veniva cantata il giovedì e venerdì santo in tutte le varie parti dell’isola. Il testo racconta dell’addolarata Maria in  cerca del figlio che trova incatenato nella casa di Pilato. Allora Maria cerca di cambiare gli eventi di salvare il figlio. Ad un certo punto Maria parla col fabbro, u’ ferraru, che deve costruire i chiodi per crocifiggere  Gesù; poi col falegname, che deve allestire la croce e  Cerca di fermarli: “ti paju la nuttata e la maestría” canta Maria, cioè promette di pagare il lavoro, se i due operai non lo svolgeranno affatto. La canzone di Rosa è commovente,  diventa quella di una madre qualunque che cerca di salvare il proprio figlio. Rosa Balistreri è emozione pura, cultura popolare e umana. Dovrebbe essere studiata a scuola, conosciuta ed apprezzata come merita, perché è stata memorabile interprete di poesie e liriche di autori importanti come il Buttitta. Dimenticavo di scrivere che Rosa era analfabeta e, da autodidatta, ha imparato a leggere e a scrivere intorno ai trent’anni. Un altro dettaglio che spiega la sua unicità, che lascia intravedere la forza di una donna che possedeva nelle mani e nel cuore il potere di cambiare le cose, trasformarle in migliori. L’esempio di Rosa ci suggerisce che dobbiamo ripartire dalle donne, affidandoci a loro, seguirle, amarle e rispettarle.

Viva le donne,tutte le donne! Viva Rosa Balistreri!

Gregorio Davì

Lascia un commento