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OPEN DATA: l’Italia diventa protagonista

INDUSTRIA 4.0

Il diritto alla trasparenza nel rapporto tra Pubblica Amministrazione e cittadino nasce in Italia con la Legge n. 241/1990. L’avvento della digitalizzazione nell’attività amministrativa conferisce nuovi significati al concetto di trasparenza e molte sono le norme che conferiscono all’utilizzo delle tecnologie dell’informazione e comunicazione un ruolo strategico nell’ambito dell’azione amministrativa.

Gli open data (in italiano “dati aperti”) sono quei dati che è possibile reperire in maniera autonoma e che sono pubblici. Nelle proprie attività quotidiane le pubbliche amministrazioni producono e raccolgono un’enorme quantità di dati di grande interesse pubblico. Per poter sfruttare appieno le potenzialità di questa mole di informazioni è necessario che tali dati siano rilasciati in formato aperto (“open”), ovvero liberi da restrizioni sia dal punto di vista dell’accesso che del riutilizzo.

La Open Knowledge Foundation definisce tre aspetti fondamentali dei dati in formato aperto:

  • disponibilità e accesso: i dati devono essere disponibili in maniera completa, aggiornata e facilmente accessibile;
  • riutilizzo e ridistribuzione: i dati devono essere forniti a condizioni e in formati tali da permetterne il riutilizzo, la ridistribuzione e la ricombinazione (detta “interoperabilità”) con altri dati;
  • partecipazione universale: tutti devono essere in grado di usare, riutilizzare e ridistribuire i dati. Non devono esserci, dunque, discriminazioni né in base agli scopi dell’utilizzo né contro soggetti o gruppi.

Nel nostro Paese la creazione di open data negli ultimi anni ha avuto una grossa crescita, portando l’Italia a posizionarsi nel panorama europeo tra i trendsetters, cioè tra coloro che “hanno implementato una politica open data avanzata con ampie funzionalità del portale e meccanismi di coordinamento nazionale”, come evidenziato da un’ infografica del quotidiano Il sole 24 ore relativa al periodo luglio 2016 – giugno 2017, che mostra come l’Italia sia entrata a far parte dei trendsetters a livello mondiale, risultando al settimo posto tra i 32 paesi monitorati: un successo rispetto alla sua posizione da spettatore dell’anno scorso. Ciò deriva dall’attuazione di politiche avanzate, che devono essere coordinate in maniera eccellente tra tutti gli attori che operano sul territorio nazionale e che dispongono di un portale nazionale con dati aperti e funzionalità avanzate.

L’avanzamento dell’Italia è evidente anche nell’ultima rilevazione dell’Open Data Maturity, il Portale Europeo dei dati; infatti possiamo vedere come nella sezione dedicata alla raccolta dati sono presenti 18.246 database, che possono essere scaricati gratuitamente, e tra questi l’Italia presenta ben 56 portali, un numero lontano dalle cifre di Gran Bretagna e Stati Uniti, ma comunque superiore a quello di paesi del calibro di Germania e Paesi Bassi.

Ulteriore prova dell’ascesa degli open data è la popolarità in aumento del data journalism, oggi piccola ma significativa realtà. Proprio il 24 settembre scorso si è svolto a Firenze il convegno su questo argomento, nel quale Roberto Bernabò, vicedirettore de Il Sole 24 Ore, ha parlato del mestiere del giornalista e come quest’ultimo stia cambiando in funzione dei dati aperti.

La crescita italiana sul fronte open data quindi esiste, pur facendo fronte alla nascita tardiva di un FOIA (Freedom of Information Act) italiano, cioè una legge a tutela della libertà di informazione: questa norma, che permette ai cittadini di effettuare una richiesta per accedere ai dati della Pubblica Amministrazione, è stata approvata solamente a fine 2016.

Una piacevole notizia riguarda in particolare Palermo: la Pubblica Amministrazione, infatti, periodicamente redige un rapporto, denominato FPA ICity Rank, che permette di approfondire la relazione tra digitale e centri urbani; ebbene, nell’ultima pubblicazione di questo resoconto, datata 23 Novembre 2021, possiamo trovare sul podio a pari merito i comuni di Milano, Palermo e Pisa. Svolta digitale, dunque,  per Palermo, che si colloca come prima in classifica per quanto concerne gli open data, nona per i Servizi Online e quinta per Accessibilità. Come sottolinea Gianni Dominici, Direttore generale di FPA, “le prime 22 città della classifica sono le ‘città digitali’, quelle che utilizzano in modo diffuso, organico e continuativo le nuove tecnologie nelle attività amministrative, nell’erogazione dei servizi, nella raccolta ed elaborazione dati, nell’informazione, nella comunicazione e nella partecipazione. Sono città che possono diventare ‘piattaforma’, creando le condizioni per lo sviluppo economico e sociale dei loro territori grazie al digitale. Nel gruppo più avanzato si trovano soprattutto grandi città del Nord, ma non mancano eccezioni di piccole dimensioni, come Pisa o Cremona, e alcune città del Sud, come Cagliari, Palermo o Bari, che dimostrano come un uso sapiente del digitale possa modificare le tradizionali geografie dell’innovazione”.

Soddisfatto ed entusiasta il commento del sindaco di Palermo Leoluca Orlando, secondo cui “si tratta di un risultato che certifica il buon lavoro svolto in questi anni. Palermo è adesso tra i Comuni italiani protagonisti di eccellenza nel percorso di digitalizzazione del sistema Italia. Occorre andare avanti per cogliere opportunità e innovazioni e rendere sempre più efficaci e accessibili i servizi ai cittadini”.

Andrea Spalanca

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