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(continuazione) Storie di vita medievale a Palermo

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Nei giorni successivi i pensieri affollavano la mente di Iacopo, era in preda al rimorso, temeva che ciò che aveva fatto gli si potesse ritorcere contro o peggio, ma il suo risentimento per il furto subito era più forte di qualunque pentimento e lo faceva insistere nel peccato di usura.

Ormai il suo scopo non era più recuperare il denaro per comprare un regalo alla madre, ma vendicarsi in qualche modo per l’ingiustizia che aveva subito. Aveva completamente perso il lume della ragione, la rabbia agiva al suo posto e la sua paura diventava talmente grande che ogni volta che vedeva quei due ragazzi li minacciava dicendo loro che ogni giorno che passava aumentava la somma da restituire.

Col passare del tempo Iacopo iniziò a sentirsi molto debole e una sera, mentre provava a prendere sonno gli venne un forte mal di testa e gli salì la temperatura. Ogni giorno che passava i dolori e la febbre aumentavano sempre di più, finché  un martedì la madre tornò a casa e  gli disse che aveva sentito le vicine che parlavano di una nuova malattia che faceva comparire strani rigonfiamenti sul corpo, in particolare sotto le ascelle e nella zona inguinale, che diventavano scuri e si aprivano con delle vesciche purulente, per questo l’avevano denominata “morte nera” in quanto conduceva a morte quasi certa.

E fu questa l’evoluzione della febbre di Iacopo. Non passò molto tempo prima che il giovane venne trasferito in un lazzaretto.

Era un posto a dir poco macabro e colmo di disperazione, le persone urlavano e piangevano.

Il ragazzo morì dopo qualche settimana solo con i propri pensieri. Prima di morire però chiese di poter parlare con un prete al quale confessò di essersi pentito di aver ingannato e minacciato quei poveri ragazzi.

Dopo la morte ci fu il buio più totale per un tempo indefinito. Quando riuscì finalmente ad aprire gli occhi, Iacopo si trovò davanti ad una porta sulla quale c’era un cartello con scritto “lasciate ogni speranza voi che entrate”. Cercò di indietreggiare ma qualcosa lo bloccava e a quel punto capì che non gli restava altro che entrare.

Se prima di allora era convinto che il lazzaretto fosse il posto peggiore che potesse esistere in quel momento cambiò completamente idea.

Entrò in un luogo buio e colmo di anime. Si sentivano urla, pianti e bestemmie, era un insieme di suoni che incutevano terrore, una di quelle paure che non si possono paragonare a nulla di terreno.

Si guardò intorno attentamente e notò che queste anime correvano dietro ad una bandiera ininterrottamente e intanto venivano punti da insetti vari.

Più lontano c’era un fiume e Iacopo vi si avvicinò. Dopo qualche minuto vide arrivare una barca comandata da un anziano signore con un importante barba bianca e gli occhi ricoperti dalle fiamme: era Caronte, colui che aveva il compito di far salire i dannati sulla barca e di portarli sull’altra sponda dell’Acheronte. Spesso colpiva violentemente le anime con i suoi remi.

Iacopo venne portato al II Cerchio. All’entrata c’era Minosse, un omone con caratteri bestiali e una lunga coda. Il suo compito era quello di indicare ai dannati il cerchio a cui erano

destinati e per farlo avvolgeva la propria coda attorno a se stesso tante volte quanto il numero del cerchio che voleva indicare.

Minosse inizialmente condannò Iacopo all’Inferno ma, vedendo che il ragazzo si era pentito profondamente prima di morire, alla fine cambiò idea e lo collocò in Purgatorio.

Jasmine Trinidad – 3° E Professionale

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