BIG DATA: molto più che semplici numeri
In un mondo come quello moderno, dove ormai la tecnologia occupa uno spazio assai ampio nelle nostre vite, un ruolo importante è giocato dai Big data, uno strumento destinato a incidere profondamente e in modo sempre più pervasivo sulla nostra vita e sul nostro modo di fare business.
Con il termine inglese Big data indichiamo delle grandi masse di dati, talmente estese da richiedere delle tecnologie in grado di estrarne il valore, analizzarli e gestirli.
La definizione di Big data non è però sufficiente per offrire un quadro completo del fenomeno. Parlare di Big data, infatti, rimanda ad una trasformazione più profonda: cambia il processo di raccolta e gestione dei dati, si evolvono le tecnologie a supporto del ciclo di vita del dato e si sviluppano nuove competenze per la valorizzazione delle informazioni.
Attraverso l’utilizzo del Big data riscontriamo benefici per le imprese e per la società, non solo nell’ambito del business.
Ma quali vantaggi concreti derivano dall’uso di questo tipo di informazioni? Nel caso, in particolare delle imprese, l’utilizzo dei Big data permette di:
- Comprendere la reazione dei mercati e valutare la percezione di un brand da parte dei consumatori;
- Identificare i fattori che spingono le persone ad acquistare un prodotto o servizio;
- Poter segmentare la popolazione, permettendo alle aziende di personalizzare la propria strategia digitale;
- Avere una maggiore predittività, grazie ad un ampio archivio storico di informazioni che consente di effettuare simulazioni abbastanza verosimili.
Se è vero che molto è ancora da scrivere sui benefici dei Big data, è anche vero che nessuno, tra coloro che hanno avviato delle progettualità, ha avanzato delle vere perplessità. L’analisi dei dati, pur nei suoi aspetti tecnologici più complessi, apre opportunità inimmaginabili e crea un enorme vantaggio competitivo. I vantaggi sono trasversali e coinvolgono tutte le funzioni aziendali e tutti i processi, generando benefici quantificabili e non.
Ma i Big data portano anche benefici sociali. Da prerogativa del business, essi sono infatti divenuti un patrimonio per la collettività, permettendo di creare nuovi posti di lavoro, ripristinare il budget delle Pubbliche Amministrazioni, ottimizzare i flussi turistici di un territorio e perfino salvare delle vite: questo è un dato di fatto, non è retorica. Ad esempio, nell’emergenza sanitaria dovuta al coronavirus, i dati hanno giocato e stanno giocando un ruolo determinante, e al tempo stesso controverso.
Da un lato, come è noto, sono numerosi i casi di abilitazione all’utilizzo dei Big data e degli algoritmi di Intelligenza Artificiale per trarre informazioni fino a pochi anni fa inimmaginabili. Si pensi, ad esempio, alle applicazioni di analisi delle immagini, sia in ambito diagnostico, sia per il controllo di eventuali comportamenti non consentiti.
L’Osservatorio Big Data & Business Analytics ha raccolto nelle ultime settimane le iniziative portate avanti dalle proprie aziende sostenitrici legate all’impatto del COVID-19. L’obiettivo è mostrare le potenzialità di fonti dati di vario genere e di metodologie di Analytics innovative nel raccontare il fenomeno.
Un esempio è John Snow, considerato il padre dell’epidemiologia, che è riuscito a comprendere, grazie alle tecniche di Spatial Analytics, la distribuzione geografica dell’epidemia. La BID Company, grazie ai modelli di Advanced Analytics & Machine Learning, è riuscita a comprendere quali fossero gli effetti sanitari più efficaci sul Covid-19. Un altro esempio è quello del Gruppo Datrix, che attraverso l’utilizzo del Big data è riuscita a prevedere gli impatti della pandemia, per esempio, in ambito finanziario.
D’altro canto, la discussione è aperta sulla capacità degli Stati di raccogliere dati di buona qualità e affidabili nel fotografare la diffusione del contagio, mentre allo stesso tempo permane un rischio di scarsa chiarezza nella comunicazione. Ma soprattutto, l’analisi e la gestione dei Big data comporta enormi criticità dal punto di vista del trattamento dei dati personali e della tutela della privacy. Riusciremo a salvaguardare la riservatezza dei nostri dati personali o essi finiranno nelle mani delle grandi aziende mondiali? Diventeranno merce di scambio, in balìa del migliore offerente?
È proprio per questo motivo che è entrato in vigore, il 25 Maggio del 2018, il GDPR (General Data Protection Regulation). Con l’entrata in vigore di questo Regolamento europeo, l’approccio legislativo al tema è cambiato in modo sostanziale, in quanto non sono più previste misure minime di sicurezza e tutte le scelte vengono demandate al singolo titolare del trattamento. Ciascun titolare deve tener conto delle seguenti variabili: costo di attuazione, natura dell’oggetto, contesto, finalità del trattamento, rischio per i diritti e le libertà delle persone fisiche. Da una valutazione attenta di tutti questi aspetti, il titolare del trattamento deve mettere in atto misure tecniche e organizzative adeguate per garantire un livello di sicurezza coerente con il grado di rischio. La medesima valutazione e adozione la deve svolgere ciascun responsabile del trattamento. Viene chiesto infine che vengano adottate procedure per provare, verificare e valutare regolarmente l’efficacia delle misure tecniche e organizzative, al fine di garantire la sicurezza del trattamento.
Negli ultimi cinque anni, il mercato Big Data è cresciuto di più del 20% all’anno, trainato principalmente dagli investimenti delle grandi aziende. Il 2020 ha però portato un rallentamento nel settore della Data Science e dei Big Data Analytics. Inoltre, le piccole e medie imprese si muovono più lentamente, in particolare a causa della difficoltà di reperire e attrarre le giuste competenze e degli investimenti limitati a causa della crisi determinata dalla pandemia. A livello internazionale c’è molto fermento sul tema, ne è un esempio il panorama delle startup attive in quest’ambito, aziende innovative che propongono nuove applicazioni per specifici settori o processi. I Big data sono diventati una realtà importante anche in Italia, in particolare grazie alla realizzazione di due progetti presentati da Stefano Bonaccini, presidente della Regione Emilia-Romagna, in video collegamento con il Padiglione Italia a Expo 2020 di Dubai. Per la presentazione è stato utilizzato un video di quattro minuti, in cui l’attore Stefano Accorsi ha illustrato le potenzialità del Tecnopolo di Bologna, una nuova realtà che ha già conquistato la scena internazionale e ha avuto l’effetto di promuovere l’Emilia-Romagna nel mondo, non più solo come la Food e Motor Valley, ma, da oggi, anche come la prima Data Valley italiana.
Non è un caso che 76 imprese, tra cui anche grandi gruppi internazionali, leader in ricerca e innovazione, abbiano scelto di puntare sull’Emilia-Romagna. I contributi regionali ammontano a oltre 121,2 milioni di euro e hanno generato investimenti per oltre 727 milioni di euro, creando 2.955 nuovi posti di lavoro.
La Regione inoltre sta lavorando ad una proposta, che ha già trovato l’interesse dell’UNESCO, per far nascere al Tecnopolo di Bologna la sede dell’Università delle Nazioni Unite, dedicata allo sviluppo umano nella società digitale.
Andrea Spalanca