Il dialetto: identità di un popolo
Sono consapevole che qualche lettore leggendo queste prime righe storcerà il naso, a sentire parlare di dialetto, in un’epoca, come la nostra, dove internet regna sovrano e dove la comunicazione avviene sempre di più con congegni elettronici e sempre meno guardandoci negli occhi. Ma , se riflettete un po’, il dialetto è qualcosa di personale: una speciale carta d’identità. Le parole dialettali sono molto più espressive della lingua italiana e danno una nuova forma alle parole stesse. Cito, come esempio, un autore che ha dato lustro alla nostra terra e che, sicuramente, il lettore almeno una volta nella sua vita avrà sentito nominare Andrea Camilleri.
Per il maestro Camilleri il siciliano era una “faccenda di cuore”. Col dialetto ha dato forma, sapore e soprattutto identità ai personaggi e ai luoghi dei suoi romanzi.
Il siciliano diventa così un modo per vedere il mondo. Molte delle parole dialettali utilizzate da Camilleri sono entrate a far parte del vocabolario della lingua italiana: cabasisi, babbiare, ne sono un esempio. Ma Camilleri, nella sua genialità di autore, ha addirittura reinventato la lingua, attribuendo nuovi significati a parole con un significato originario diverso, ne è esempio il verbo annacare, che originariamente significa cullare, ma che in Camilleri si trasforma nell’espressione di “prendersela comoda” .
Il dialetto è un pò come la nostra anima, un’anima antica, che ci ricongiunge con i nostri antenati. Non bisogna trascurarlo ma, al contrario, coltivarlo perché è cultura e come tale allarga l’orizzonte della nostra vita e ci completa. Perdere la propria lingua è un po’come perdere la propria identità. Il dialetto è comunicazione e confronto, due ottimi alleati per affrontare le difficoltà della vita. Infine, riporto una poesia del grande Ignazio Buttitta, dal titolo Un popolo.
Un populu
Mittilo a catina
Spugghiatilu
Attuppatici a vucca
È ancora libiru.
Livatici u travagghiu
U passaportu
A tavola unni mancia
U lettu unni dormi, è ancora riccu.
Un populu
Diventa poviru e servu
Quannu ci arrobanu a lingua
Addutata di patri:
È persu pi sempri.
Diventa poviru e servu,quannu
I paroli non figghiano paroli
E si mancianu tra d’iddi.
In un periodo storico così delicato e fragile, nel quale il nostro paese è approdato, queste parole del Buttitta appaiono ancora più veritiere e forti.
Gregorio Davì