Presidenti della Repubblica

I custodi della Carta, parte prima: da De Nicola a Segni

ATTUALITA', PERSONE E PERSONAGGI

Nella serata dello scorso 29 Gennaio, il Parlamento, all’ottava votazione, ha scelto di rieleggere Sergio Mattarella, che, con 759 voti, ha ottenuto un largo consenso. Queste elezioni, oggetto di grande attenzione mediatica grazie alle continue dirette televisive, hanno riportato l’attenzione sulla figura del Presidente della Repubblica anche da parte dei più giovani. Forse è opportuno, dunque, offrire una panoramica sommaria sui predecessori dell’attuale Presidente.

Partiamo  dagli albori della Repubblica: nel 1946, dopo il referendum che sancì la nascita della Repubblica Italiana, l’Assemblea Costituente elesse come Capo provvisorio dello Stato il napoletano Enrico De Nicola, nato nel 1877; ricoprì la carica fino al 31 dicembre 1947. La sua elezione fu il frutto di un lungo lavoro diplomatico fra i vertici dei principali partiti politici, i quali avevano convenuto che si dovesse eleggere un presidente capace di riscuotere il maggior gradimento possibile presso la popolazione, affinché il trapasso al nuovo sistema fosse il meno traumatico possibile.

Il 15 luglio, De Nicola inviò all’Assemblea il suo primo messaggio, che toccò le corde del patriottismo e dell’unione nazionale.

Il 1º gennaio 1948, con l’entrata in vigore della Costituzione repubblicana, assunse il titolo di Presidente della Repubblica Italiana e  conferì l’incarico ad un solo presidente del Consiglio, Alcide De Gasperi, leader della Democrazia Cristiana. Nel suo breve mandato non nominò alcun senatore a vita. In occasione delle prime elezioni parlamentari del Presidente della Repubblica, nel maggio 1948, De Nicola avrebbe volentieri accettato una riconferma, ma era a conoscenza che De Gasperi avrebbe preferito, al suo posto, una figura maggiormente caratterizzata in senso europeista. Al quarto scrutinio fu eletto Presidente il liberale Luigi Einaudi e, di conseguenza, De Nicola lasciò formalmente l’incarico il 12 maggio 1948.

Einaudi era nato a Carrù, in provincia di Cuneo, nel 1874, ed era un  economista, accademico e giornalista. In occasione di quelle elezioni, il presidente del Consiglio Alcide De Gasperi aveva in realtà candidato il ministro degli Esteri Carlo Sforza; sebbene sulla carta disponesse della maggioranza dei votanti, Sforza non riuscì a ottenere il voto di tutti i parlamentari democristiani. Dopo i primi due scrutini, la dirigenza democristiana prese atto delle difficoltà incontrate dal ministro repubblicano e decise di candidare Einaudi. La nuova candidatura incontrò anche la disponibilità dei liberali e dei socialdemocratici e lo statista piemontese fu eletto presidente della Repubblica l’11 maggio 1948, al quarto scrutinio, con 518 voti su 872.

Nel suo discorso di insediamento, Einaudi dichiarò che, pur essendosi espresso per la monarchia in occasione del referendum istituzionale, nel biennio costituente aveva dato al regime repubblicano “qualcosa di più di una mera adesione”, avendo constatato che il trapasso tra le due forme istituzionali era avvenuto in maniera perfettamente legale e pacifica, cosa che dimostrava anche come  il popolo italiano fosse ormai maturo per la democrazia. Proseguì ribadendo il suo impegno a farsi tutore della più scrupolosa osservanza di tutte le istituzioni alla Costituzione della Repubblica. Luigi Einaudi inaugurò l’esercizio del potere del Presidente della Repubblica di rinvio delle leggi alle Camere per riesame, e lo fece quattro volte.

Durante la presidenza di Einaudi, l’incarico di Presidente del Consiglio fu attribuito, dopo la caduta del Governo De Gasperi, ad Attilio Piccioni, che fallì; fu incaricato allora il democristiano Giuseppe Pella; correva l’anno 1953 e la fiducia fu ottenuta su un documento programmatico di carattere amministrativo e contingente, che ottenne il voto favorevole dei parlamentari democristiani e del Partito Nazionale Monarchico (che continuerà la sua attività fino al 1959), mentre gran parte dei socialisti si astennero; un sostegno, quindi, per la prima volta “trasversale” rispetto agli schieramenti politici che si erano contrapposti alle ultime elezioni politiche.

Allo scadere del mandato di Einaudi, alcuni settori del Parlamento propendevano per la rielezione dell’ottantunenne presidente uscente, che al primo scrutinio delle elezioni presidenziali del 1955 ottenne ben 120 voti; ma il quarto scrutinio decretò l’elezione di Giovanni Gronchi. L’ex presidente della Repubblica tornò a sedere sui banchi del Senato come senatore di diritto, a norma della Costituzione.

Giovanni Gronchi era nato a Pontedera, in provincia di Pisa, nel 1887. Fu tra i fondatori della Democrazia Cristiana e partecipò all’Assemblea Costituente.

Gronchi mirò ad inserire i socialisti nella maggioranza parlamentare, intento non condiviso dal suo Partito. Durante il suo mandato, per risolvere le tormentate crisi di Governo, inaugurò l’esperienza del mandato esplorativo, oggi prassi abituale. Le tensioni fra Gronchi e gli esponenti principali della DC gli pregiudicarono la rielezione ad un secondo mandato, cui avrebbe ambito con l’appoggio del presidente dell’Eni, Enrico Mattei. Il segretario politico della Democrazia Cristiana, Aldo Moro, propose invece al partito la candidatura di Antonio Segni, che fu eletto Presidente della Repubblica al nono scrutinio. L’11 maggio 1962 si concluse il  settennato di Einaudi e Gronchi divenne senatore di diritto e a vita.

Nato a Sassari nel 1891, Segni prestò giuramento l’11 maggio 1962. I suoi due anni al Quirinale furono contrassegnati da tensioni, non solo sul piano strettamente politico. Egli infatti giudicava destabilizzanti per lo Stato le aperture ai socialisti, inclusi nel primo Governo Moro. Secondo un famoso articolo pubblicato su L’espresso nel 1967, tre anni prima Segni avrebbe addirittura approvato il cosiddetto “Piano Solo”, elaborato dal generale dei Carabinieri De Lorenzo, che avrebbe assicurato all’Arma il controllo militare dello Stato in caso di situazioni di emergenza nella gestione dell’ordine pubblico, il controllo della RAI e l’arresto di politici e militanti della Sinistra.

Il 7 agosto 1964, durante un concitato colloquio con l’esponente socialdemocratico Giuseppe Saragat e il presidente del Consiglio dei ministri Aldo Moro, Segni fu colpito da trombosi cerebrale. Il 10 agosto assunse le funzioni ordinarie di supplente il Presidente del Senato Cesare Merzagora, mantenute fino al 29 dicembre. La situazione fu risolta dalle dimissioni di Segni, avvenute il 6 dicembre 1964.

Andrea Spalanca

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